Rapport de mission du Dr Dossena et d’autres collègues
Andasibé 28 Dicembre – 5 Gennaio 2011
Ad Antananarivo siamo atterrati alle undici e mezzo di sera. A Parigi avevamo aspettato quasi due ore a bordo per le procedure di scongelamento delle ali in un aeroporto da alcuni giorni messo a dura prova dalle pesanti nevicate. Il volo era stato quindi lungo e noioso più del dovuto. E a monte c’era la levataccia per andare a Linate . A destinazione poi i visti, il recupero dei tanti bagagli , la dogana : è quasi la una quando finalmente incontriamo il nostro locale “comitato di accoglienza”. Suor Josephine, Suor Louise e Tiana ci hanno aspettato con infinita pazienza e riconosciuto appena usciti dagli arrivi.
Paolo Mazza ci aveva avvisato: ci sarà uno stuolo di facchini che vi attornierà e non vi mollerà , in attesa di qualche soldo : non fatevi abbordare ! Detto fatto : ne avevamo attorno almeno cinque e , ovviamente , fino a quando non abbiamo “sganciato” non si sono levati di torno.
La nostra spedizione in Madagascar è composta da sette persone: Franco , odontoiatra, Lara la sua compagna, Martina, igienista dentale e mia figlia, Giulia, studentessa in Scienza dell’Educazione e anche mia figlia, Giusi, mia moglie , Denise, anch’essa igienista, ed il sottoscritto, odontoiatra.
Un pulmino , caricati i bagagli ( con sorpresa successiva ), ci conduce alla vicina missione della capitale, dove risiedono le suore . Ci vengono assegnate delle stanzette, spartane , ma dignitosissime e dotate di bagno e doccia : finalmente , che piacere ! Appuntamento alle 8.30 domani.
La mattina ci aspetta una prima colazione da albergo quattro stelle:frutta fresca, confetture , pane appena sfornato, caffè , latte, thè. Siamo proprio sicuri di essere in Madagascar?
Il pulmino ci sta aspettando: lo guida Sila ; ha ventitrè anni e una faccia simpatica, e sarà il nostro autista , aiutante e traduttore per i prossimi dieci giorni. Con lui dovremo farci capire in francese.
Un arrivederci alle suore per il nostro rientro e si parte , accompagnati da Tiana. E’ lei che ci ha organizzato la permanenza sull’isola e parla anche bene l’italiano. C’è anche suo marito Toju che è il “direttore lavori” della costruzione del dispensario di Andasibe. Prima ripassiamo un attimo dall’aeroporto per cambiare gli euro in moneta locale, l’ary-ary : decido di cambiare seicento euro ed esco con quasi due-milioni-e-mezzo in tasca ; mi sembra di essere un nababbo e non riesco nemmeno a tenerli in tasca.
Una breve sosta ad un supermercato per acquistare acqua e carte telefoniche, e poi le macchine fotografiche cominciano il loro frenetico lavoro a testimoniare una realtà ed un mondo fino a questo momento per noi sconosciuto. Non smetteranno mai in questi prossimi giorni.
Attraversiamo la periferia della capitale, caotica e trafficatissima : auto, camion, taxi, ma anche carri trainati da vacche, carretti spinti a mano, biciclette con anatre sui portapacchi, pulmini con venti –trenta passeggeri.
Lungo i corsi d’acqua si vede la popolazione lavare e stendere i panni sulle rive. Si prende la nazionale numero uno, che porta verso ovest. Il paesaggio è magnifico, vario, ricchissimo di vegetazione anche inaspettata ( pensavate che ci potessero essere pinete laggiù? ) , risaie in ogni angolo sfruttabile, vacche e zebù, galline e capre.
La terra è rossa, argillosa ed in molti luoghi ci sono improvvisati forni per la produzione di mattoni. Lungo la strada veniamo fermati da numerosi posti di blocco della polizia e dell’esercito : meno male che c’è Sila a parlare con loro.
Verso la una arriviamo nella zona del Lago Itasy e poi ad Ampefy-Andasibe, la nostra meta.
Siamo attesi anche qui dalle suore della missione: Suor Julienne, la madre Superiora, Suor Agata, e Suor Angela. E anche qualche novizia. Parlano qualche parola di italiano perché la loro casa madre è in Italia e poi Tiana fa da insegnante. E , sorpresa, ci hanno preparato questo pranzo: spaghetti al sugo, pesce alla griglia, verdura, frutta, caffè e pure una bottiglia di vino rosso del Madagascar, che si lascia bere volentieri. Qui rischiamo di ingrassare !
Il refettorio è uno spazio recuperato all’aperto , recintato, con una tettoia di lamiera sotto la quale il sole regala una temperatura veramente equatoriale, alla quale contribuiscono il forno e la cucina attigui. Ci fanno compagnia vari gatti, ed un pappagallo. Loro, le suore, mangiano qui anche in inverno, quando le temperature sono ben diverse ed arrivano anche a dieci gradi. Se piove, talvolta si bagnano e se c’è vento rischiano di vedere decollare la tettoia. Attorno alla “residenza” ci sono le scuole fino alle superiori, la chiesa, un campo di gioco, e alcune piccole costruzioni di servizio, tra cui l’infermeria, la farmacia, alcuni magazzini dove c’è anche parte del nostro materiale già arrivato nei mesi scorsi, e l’abitazione per qualche famiglia. Compresa quella del giardiniere che in realtà è un factotum sempre pronto e disponibile e simpaticissimo.
Dopo pranzo, prendiamo contatto con la nostra “sede operativa”. Cinque stanzette : due sono ancora da destinare e utilizzate per ora come magazzino, una è la sala sterilizzazione per lo strumentario e due sono destinate alla nostra vera attività , una già dotata di riunito , mobili e materiale, l’altra che sta aspettando un riunito già pronto in un container a Milano.
Ci aspetta anche un dentista venuto dalla capitale , Dr. Toju ( ma qui si chiamano tutti così?), che è già venuto qui qualche volta par lavorare. Parla francese e quindi anche con lui la comunicazione è facile . Ha portato anche lui un po’ di materiale, e noi cominciamo a svuotare le nostre tre valigie con quanto raccolto in Italia. Tre ? Ma non erano quattro ? Acc…ecco la sorpresa: abbiamo lasciato una valigia in aeroporto. Per fortuna penserà l’indispensabile Tiana al suo recupero due giorni dopo.
Intanto cominciamo a montare, con un po’ di inventiva e l’aiuto di Toju e Toju, l’apparecchio per la detartrasi . Ma nella stanza destinata alle igieniste manca la poltrona; recuperiamo un lettino dall’infermeria . Per la luce abbiamo un po’ di torce e per l’acqua da eliminare delle bacinelle. Fatto!
Il materiale , grazie all’alacre opera di tutti, finisce nei cassetti, mentre ne si fa un inventario, e si delinea la lista delle mancanze. Sembriamo tutti un po’ invasati e pressati dalla scadenza di domani.
Il dispensario è molto popolato: ragni, formiche , insettini vari. Cerchiamo di rimediare, ma la lotta contro di loro è impari, naturalmente a vantaggio degli animaletti.
Al momento di testare il riunito, ci rendiamo conto che contemporaneamente non può funzionare tutto: il quadro elettrico non ha abbastanza tensione, l’acqua non arriva bene, l’aspirazione non va. Verrebbe da dire : “Houston abbiamo un problema”. Ci dovremo arrangiare dosando energia e uso dell’acqua, e c’è un vecchio aspiratore a campana funzionante. Ma non ci sono gli aspirasaliva, li abbiamo dimenticati. Un tubetto di raccordo di gomma ci viene in soccorso: tagliato in pezzettini , problema risolto. Forse tutto è quasi pronto per domani, comincia ad imbrunire , sono le sei passate da poco, ma qua il sole tramonta presto. E’ arrivato il momento di “conoscere” l’albergo.
Per arrivarci bisogna attraversare il paese di Ampefy. Prendiamo un primo contatto con la realtà del posto, che già nella luce fioca del tramonto lascia intravedere la diffusa precarietà dello stato di vita della gente del posto.
Il “Relais de la Vierge” è composto da una bassa costruzione centrale che fa da ristorante e bar, attorno c’è un giardino con tutti i piccoli bungalow/camere, ognuna con bagno e doccia: dignitoso. C’è pure una piccola piscina, ma l’acqua ha un colore verdastro e torbido poco invitante. Forse rinunceremo a fare il bagno.
Il ristorante offre buoni piatti locali come carne di zebù alla griglia o impanata (!) , anatra, pollo, gamberi, riso, verdure. Qui si mangia con qualche migliaio di ary-ary , che sembrano sempre tanti, ma poi tradotti in euro fanno stette- otto….. La nostra prima giornata volge al termine.
Ritrovo per le sette alla mattina, colazione e via col pulmino alla missione.
Sul posto ci sta già aspettando il Dr. Toju che ha deciso di affiancarci nel lavoro in questi giorni, che anche per lui alla capitale sono di vacanza natalizia.
E la nostra “sala d’attesa” è già piena: donne, giovani, bambini, uomini, riempiono lo spazio all’aperto fuori dall’ambulatorio, dove sono sistemate un paio di panche che non sono assolutamente sufficienti per tutti. E quando si dice pazienti , la parola dice veramente tutto: nessuno si lamenta, aspettano il proprio turno, curiosi e grati di potere usufruire per una volta di cure gratuite. Il confronto con quanto siamo abituati nei nostri studi è stridente.
Le cure si risolvono ad essere in maggioranza estrazioni di denti ormai distrutti ed irrecuperabili. Qualche devitalizzazione, qualche otturazione. E poi ancora denti da togliere.
Le igieniste si danno da fare alla loro postazione, ed un dentifricio e uno spazzolino in regalo sembrano a tutti chissà chè. I valori delle cose qui assumono un peso completamente diverso, anche per noi . Le nostre aiutanti Giulia, Giusi e Lara ci assistono e provvedono a lavare lo strumentario e disinfettarlo : per la sterilizzazione dovremo aspettare un momento di pausa dato che la tensione elettrica non ci permette di fare funzionare troppe macchine assieme. Per occupare tutti nel lavoro, vista la mole di persone fuori dallo “studio” , decidiamo di usare anche una sedia appoggiata ai mobiletti , un cuscino come appoggiatesta , una torcia : è pronta un’altra poltrona operativa e si possono togliere altri denti. Toju si rivela un buonissimo collaboratore, sia per la sua operatività, sia per la traduzione in malgascio spesso indispensabile. Si vede che ha voglia di dimostrarsi all’altezza e che gli piace lavorare con noi per confrontarsi . E così è anche per noi che siamo alle prese con un mondo, anche lavorativo, totalmente diverso dal nostro. Attorno , Suor Julienne e soprattutto Suor Agata si danno da fare nello smistare pazienti , controllare i numeri dati alla gente per entrare, prendere i nomi per le persone che saranno da rivedere in futuro.
Toju si renderà disponibile a tornare periodicamente ad Andasibe per fare cure anche gratuite, e questo per noi diventa un motivo di conforto sapendo che non ci sarà un vuoto assoluto d’ora in poi, fino ai prossimi volontari.
Il tempo vola . Sosta per il pranzo al refettorio delle suore ( sempre pasta, poi pollo, frutta, quasi meglio che a casa ), e di nuovo in ambulatorio dove i nostri pazienti ci hanno pazientemente aspettato. Hanno semplicemente spostato le panche all’ombra delle piante. Dalla finestra dello studio ci guardano curiosi dei bambini bellissimi , sorridenti,e divertiti : uno spettacolo. E dietro di loro alberi di banane, avocado, lichis. Tra i pazienti circolano galline polli, un maialino, e ci sono un paio di vacche poco lontano. Un altro spettacolo.
Il lavoro non cambia, estrazioni, estrazioni, qualche cura, estrazioni.
La prima giornata finisce nella stanchezza. Un temporale si annuncia attorno a noi regalando nel cielo al tramonto colori che forse solo qua si riescono a vedere, o che forse a casa nostra non siamo più capaci di vedere.
Il giorno successivo le nostre “ragazze” fanno un giro , con Suor Agata, e Sila, nei villaggi circostanti ad Ampefy. La situazione è veramente drammatica, la povertà e la precarietà della vita sono tangibili e ben visibili. Case solo in argilla e tetto di paglia, niente luce o energia elettrica, acqua solo se lo stato ha provveduto a fare un pozzo o una fontana, altrimenti ci sono i ruscelli. E poi piedi nudi, vestiti sommari, famiglie con sei-sette bambini. E se si tira fuori qualcosa che può sembrare da regalare, c’è l’assalto.
Naturalmente foto senza sosta.
Per fortuna , nel frattempo , era arrivata da Tanà ( così si chiama familiarmente la capitale Antananarivo ) l’ultima valigia. Questa ed un’altra erano state riempite a Milano di magliette, pantaloncini, tute regalateci dal gruppo sportivo OSG2001 . Un po’ di queste vengono distribuite e nei giorni successivi avremo modo di vederle circolare nelle campagne circostanti.
Nell’intervallo del lavoro decidiamo di fare una passeggiata verso il lago , molto vicino alla missione. Nell’acqua , in questo punto limpida ed invitante, ci sono bambini che nuotano e giocano, ragazzi su improvvisate piroghe, qualche donna che lava i panni, pescatori. L’ambiente bucolico e pittoresco, fa venire in mente i più bei documentari e film sull’Africa . Dietro questa cartolina si cela invece, anche qui, un dramma : l’acqua è infestata da un parassita , la Bilharzia, che penetra nella pelle e determina una malattia degenerativa degli organi addominali e a lungo andare la morte. Ci documentiamo : l’antiparassitario che serve è una dose che costa due euro , ma qui non ci sono soldi e quindi… si muore. E la maggioranza della popolazione locale è malata. Bene , sappiamo quale sarà uno dei nostri impegni nei prossimi mesi.
Stasera è l’ultimo dell’anno, e decidiamo di andare nel locale più “in” del paese: il Kavitha, un albergo-ristorante di discreto livello, frequentato da qualche turista straniero (pochi per la verità) e da cittadini della capitale che vengono qui sul lago per uscire dallo stress di Tanà . Si mangia discretamente anche qui e poi c’è pure la musica dal vivo eseguita da una buonissima band malgascia. Si beve birra , non c’è lo spumante. E mezzanotte ed il nuovo anno arrivano due ore prima che in Italia, così riusciamo a fare gli auguri a casa in anticipo. Siamo nel 2011.
I due giorni successivi per noi sono di “vacanza” perché anche in Madagascar è festa e la domenica deve essere dedicata alla fede.
La messa ad Andasibe dura due ore e mezza: è piena di canti, balli e c’è una partecipazione che noi dfrancamente abbiamo dimenticato. Ci sistemiamo in un angolo ed ogni tanto qualcuno ci squadra: normale, sette bianchi tra trecento colorati non passano inosservati; e poi forse sanno anche chi siamo. Se però qualcuno non lo sapeva, alla fine della celebrazione, ci pensa Suor Julienne a spiegarlo a tutti, ringraziandoci ed auspicando un nostro ritorno in futuro. Di colpo trecento volti ci inquadrano ci regalano un caldo applauso. Ringraziamo , tra le lacrime .
Fuori dalla chiesa ci aspetta un gruppo di ragazzi che hanno indossato le divise che abbiamo portato da Milano. Facciamo un po’ di foto a mo’ di vera squadra di calcio da portare al Gruppo Sportivo “madre” e poi regaliamo due palloni di cuoio, coi quali iniziano a palleggiare e giocare tra loro. Fino ad ora la palla era fatta di stracci annodati: questi ragazzi a piedi nudi su un terreno fatto di sassi , ghiaia e un po’ di erba danno spettacolo ed emozione.
Approfittiamo della “vacanza” per vedere qualche luogo di attrazione nei dintorni : così con Suor Agata ( ormai la nostra preferita: giovane, dinamica , piena di impegni e di attività, ma sempre disponibile ) e Sila visitiamo i Geisers dove sgorgano acque termali e le cascate Lily ( si chiamano così perché una bimba con questo nome scomparve nelle sue acque ) . Entrambi i posti sono stupendi con una natura sfolgorante , vegetazione incredibile , piante giganti di Ibiscus, Stelle di Natale grandi come alberi da frutta, banani, avocado, lichis, papaia, mango. Veniamo sempre attorniati da ragazzi e bambini che cercano di venderci di tutto , dalle pietre alle miniature di lemuri e baobab. Per riuscire a liberarci di loro , oltre a comperare un po’ di tutto ( anche il superfluo), dobbiamo, con dispiacere, essere un po’ risoluti.
L’escursione alla statua della Vierge ( la Vergine ) ci rivela il luogo più magico tra quelli visti. E’ situata sopra un piccolo promontorio che si estende nel lago e che è considerato il centro esatto del Madagascar. I paesaggi sono mozzafiato: vegetazione , uccelli di ogni tipo e colore, farfalle , barche di pescatori, villaggi sparsi lungo la costa. Ci viene incontro il “custode” : è l’icona proprio dell’Africa, ha un bastone e l’aspetto provato di chi ha vissuto e vive duramente. Ci dice che ha dieci (!) figli , che vediamo da lontano fuori dalla capanna attorno ad un fuoco che scalda una pentola.
Questa resterà l’immagine forse più forte di tutto questo soggiorno.
Gli facciamo una offerta che gli illumina il volto. Pensando alla nostra città , al suo traffico, alla frenesia della nostra vita , immersi nella luce dell’imminente tramonto non vorremmo più andarcene da lì.
La sera proviamo un altro “ristorante”: “La Terrasse “. E’ stato messo in piedi da un francese di 66 anni che ha lasciato alle spalle una prima vita fatta di moglie e figli a Parigi, e si è riaccasato qui : moglie locale, altri tre figli , un minialbergo ben arredato e di gusto. Si mangia benissimo e l’influenza della madre patria si fa sentire, tranne che nei prezzi che restano sempre incredibilmente bassi . Peccato averlo scoperto tardi.
Abbiamo ancora due giorni di lavoro e Toju torna a farci compagnia. Suor Julienne ha distribuito, solo per il primo dei due, settantadue numeri ! Ci prende un po’ di panico, ma alla fine ce la faremo. Mi cimento nell’estrazione di una difficile radice: la donna soffre e resiste; e anch’io. Andandosene mi ringrazia e saluta con calore e riconoscenza: la mattina dopo tornerà con una borsa piena di lichis per dimostrarlo in un modo per lei più concreto.
Anche l’ultima giornata di lavoro volge al termine e Dr. Toju si presenta con una serie di pacchettini regalo per ciascuno di noi. La sua presenza ed il suo aiuto si sono trasformati in una buona amicizia. Commozione.
L’ambulatorio chiude, per ora . Toju si è formalmente impegnato a tornare periodicamente, abbiamo promesso di tornare anche noi, arriveranno nuovi volontari, le suore sono state adeguatamente motivate: forse qualcosa di buono sta partendo.
Purtroppo dobbiamo partire anche noi, non senza un po’ di dispiacere per il distacco da luoghi e persone stupende. Sulla via del ritorno visitiamo il parco dei lemuri ed il giorno successivo, accompagnati da Tiana , quello dei coccodrilli, dove ci azzardiamo anche a provarne la carne al locale ristorante: non male. Manca solo il mercatino dell’artigianato prima della partenza : anche qui siamo assaliti dai venditori di tutto. Tiana ci spiega che bisogna assolutamente contrattare alla metà del prezzo proposto. E’ vero. Funziona proprio così. Compriamo un po’ di oggetti, vaniglia, spezie.
La missione di Tanà è molto bella: ci sono scuole anche qui che ospitano seicento alunni che, oltre a potere studiare trovano ogni giorno il pane appena sfornato. E’ immersa in un grande giardino con alberi di frutta. Dopo la visita dei locali ed una rinfrescante doccia, Suor Josephine e le altre ci preparano una cena in grande stile ancora una volta: proprio così, qui si ingrassa!
E’ il momento degli arrivederci con una buona dose di malinconia: abbiamo la sensazione di avere qui degli amici ormai. Torneremo di sicuro.
L’aereo decolla che è già il giorno dopo. Complice la notte , Parigi arriva abbastanza velocemente. E dopo poche ore siamo di nuovo a Linate. Fisicamente. Ma una parte di cuore è rimasta in Africa, ad Andasibé.
Marco Dossena