Elisa: La mia esperienza in Madagascar
La mia prima impressione arrivata in Madagascar è stata quella di aver viaggiato indietro nel tempo
Casette di mattoni rossi ricoperte di fango, tetti in foglie di palma, bimbi impolverati che scorrazzano per strada a piedi scalzi, rincorrono galline o anatroccoli, si divertono con giocatoli rudimentali fabbricati con quello che trovano. Mamme giovani, giovanissime, con al seguito quattro o più bimbi, trasportano cesti colmi di frutta o panni sul capo. Carretti trainati da zebù, diretti ai campi o alle risaie. Tutti per strada o meglio tutti al fiume, per lavare i panni, gli zebù o loro stessi. Si sta fuori all’aria aperta in Madagascar, dall’alba al tramonto perché in casa non c’è acqua corrente né elettricità. È in questo contesto che si trova il centro sanitario Saint Paul ad Ampefy che offre ai suoi abitanti visite generiche, pediatriche, ostetriche, dentistiche e oculistiche oltre alle analisi di laboratorio, un servizio di ecografia e di ottica. La maggior parte di queste prestazioni sono assenti nei centri di primo e secondo livello presenti in quasi tutti i distretti del Madagascar e per usufruirne è necessario recarsi in capitale che si trova 140km di strade disastrate e costellate di buche. Inoltre, i prezzi di queste visite a Tanà sono proibitivi per i locali che si trovano spesso senza il denaro sufficiente per affrontare il viaggio e pagare esami e cure.
Durante le mie tre settimane passate al Saint Paul ho avuto modo di partecipare a molte delle sue attività ed è stata davvero una esperienza meravigliosa. È tutto diverso lì: le malattie, i mezzi per indagarle e curarle e soprattutto la mentalità. Per un medico alle prime armi come me è stato difficile riuscire ad arrangiarsi con il poco che c’è, fare i conti con una realtà dove le persone arrivano con infezioni brutte e avanzate e si rivolgono a te, magari dopo un mese, perché prima sono stati dallo stregone del villaggio. Vedere donne che fanno il primo controllo prenatale all’ottavo mese. È complicato scegliere tra l’esecuzione di un esame diagnostico e l’acquisto di un farmaco perché il budget del paziente è limitato. È incredibile, però, vedere come pian piano questa gente abbia acquisito fiducia nel centro. La mattina presto si vedono già decine di pazienti in fila all’accettazione da Agatha chi per una visita chi per un esame. Le partorienti invece arrivano accompagnate dalle donne della famiglia: la madre, le sorelle che assistono le ostetriche Claudia o Faniry durante il parto. Si viene così a creare una collaborazione tra i volontari e la popolazione impensabile nei nostri ospedali, ma che qui è fondamentale.
Al giovedì mattina la dottoressa Seheno (la pediatra del centro) accompagnata da un’infermiera parte alla volta dei quartieri più distanti per visitare i bimbi che non hanno modo di raggiungere il centro. Nel mio periodo di volontariato ho avuto modo di accompagnarla e aiutarla grazie a Claudia che mi faceva da interprete con i piccoli pazienti. Una fila di bimbi era pronta ad aspettarci davanti alla casetta che fungeva da ambulatorio. Prima sono stati pesati e misurati dai ragazzi del progetto sulla malnutrizione e poi li abbiamo visitati. Spesso le mamme arrivano con talmente tanti figli che è difficile capire quale sia “marary”(malato). Il lunedì e il mercoledì mattina, invece, i ragazzi del progetto sulla malnutrizione tornano nei villaggi a portare le farine e monitorare la crescita dei bambini. Spesso fanno anche dimostrazioni culinarie per le madri, in modo da insegnare loro diete equilibrate con prodotti facilmente reperibili da tutti anche nei villaggi più remoti.